fabio
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Ho fatto infinite e incredibili discussioni sui social network negli anni passati, quasi tutte incentrate sulla necessità che hanno di invadere e violare la nostra privacy per sostenersi: è uno scambio che chi sceglie di utilizzare un determinato social accetta fin da subito. Esiste una primissima fase che come utenti affrontiamo quando entriamo a far parte di un social network ed è quella del primo impianto dei nostri dati e/o contenuti a cui poi segue la fase di alimentazione periodica e costante - almeno nelle aspettative di chi gestisce il social - cui si accompagna l’interazione con gli altri avatar dei nostri amici, conoscenti, follower o in generale contatti. L’interazione non è altro che un’altra forma con cui si forniscono dati personali, eventualmente di minor qualità, ma sempre utili. Questo avviene per tutti i social network, in realtà a pensarci bene anche in quelli reali cioé nelle relazioni con persone e non avatar. Sono dinamiche complesse, molto interessanti da studiare.

La musica cambia leggermente quando si passa da social network generalisti (Facebook, Instagram, Twitter) a quelli che offrono un fine specifico, tipo LinkedIn. LinkedIn è sempre stato un po’ il social sfigato, in primis perché interessa solo a chi ha un lavoro o intende cercarlo - quindi stando larghi dai 18 anni in su - e a chi lo utilizza per fare network, attività che coinvolge una fetta ancora più piccola dell’insieme precedente. Più in generale è anomalo perché richiede un utilizzo equilibrato, nel senso che i contenuti che carichiamo influenzano più o meno direttamente l’opinione professionale che il nostro network potrebbe avere o farsi di noi.

In questo senso mi ha sempre colpito, in negativo, vedere post del tutto scorrelati dal mondo del lavoro - o almeno dal mio mondo del lavoro - riproposti nel mio feed solo perché a Tizio, che fa parte della mia rete, piacciono. Esempio tipico: Tizio mette like ad una bella o innovativa o divertente pubblicità pur non occupandosi di marketing (né lui né io). Non parlo neanche di quella pratica sellerata di fare o peggio risponde a sondaggi utilizzando le reaction: in quanti abbiamo avuto il piacere di vederci richiesta un’opinione su come immaginiamo lo smart working nel futuro? Poi ci sono le celebrazioni, come ad esempio quando tutte le persone di un’azienda ripubblicano l’articolo appena uscito che riguardano la stessa. Tutte informazioni inutili anche ai fini del lavoro.

Insomma, LinkedIn ha veramente tanti difetti e pochi pregi: i contenuti sono solitamente poveri, sempre simili nelle forme e tipicamente vengono dall’esterno (articoli di riviste, etc.) perché gli strumenti di creazione restano sotto, come qualità, ad altri più accessibili (piattaforme di blogging tipo medium). L’interazione è molto limitata specie nel tempo di discussione: si preferiscono inevitabilmente commenti brevi e corretti cioé senza opinione (“se dico qualcosa di sbagliato cosa penseranno le persone con cui lavoro?”, “e se poi questo commento lo legge il mio prossimo recruiter?”…). Anche la capacità di talent attraction per le aziende sembra veramente limitata come qualità ma a quanto pare è rimasta l’unica: si mette un annuncio, si ricevono centinaia di candidature grazie al fatto che le application sono molto facili da fare e poi si inizia ad affinare. Le persone che si affacciano sul mondo del lavoro lo preferiscono ovviamente.

Questo svela una faccia neanche troppo nascosta di questo social che non è un social: è a pagamento. Certamente gli utenti finali non devono pagare (parlavo di questo già molto tempo fa), a meno che non vogliano farlo ovviamente, ma il servizio ha un target che è disposto a pagare e a pagare tanto: le strutture di recruiting o più in generale i datori di lavoro. Qui il discorso si fa interessante perché a vederlo da questo lato si capisce che LinkedIn non è un social network, è forse un anti social network, nel senso che attira con una scusa (connettersi con altri) per fare la giusta massa e ampliare la popolazione il più possibile ma costruisce il suo business non su quello che gli utenti dicono o fanno o in generale sui loro interessi, lo costruisce in maniera molto più semplice su quello che gli utenti sono - poche informazioni - e su quello che loro intendono fare (cercare lavoro? offrire lavoro?). Ha del social network solo una parte molto basica di interazione fra utenti che è quasi più una distrazione che altro: è un servizio tradizionalissimo mascherato da prodotto moderno che apporta una minima innovazione su un processo macchinoso e delicato.

Credo per dirla in una frase che sarà forse l’unico social a sopravvivere assieme a quelli che sapranno restare canali di informazione affidabili ed evoluti o forse è un social che è già morto ed è risorto in forma di servizio per le aziende capitalizzando al meglio il momento storico in cui ci siamo trovati alcuni anni fa in cui agli utenti sembrava importante essere ovunque e queste aziende creavano network senza un motivo istantaneo preciso: ce l’ha fatta.