Il ponte sospeso nel tempo

Laguna di Venezia dal Ponte della Libertà

fabio
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Sono entrato a Venezia tanto volte e in modi diversi, ma mai l’avevo fatto a piedi. Il materializzarsi della città dal fitto della nebbia e nell’intermittenza degli zaini mossi dai passi dei compagni che mi precedevano ha incarnato la quintessenza dell’idea di città magica, epiteto forse inflazionato ma certamente adeguato per la città. Assieme ai passi, i colori del sole di metà inverno, dietro le architetture industriali di Marghera, hanno avuto il potere di riprodurre nelle orecchie la mia canzone del ponte per antonomasia: il brano senza cui non potevo affrontare partenze e arrivi da Santa Lucia.

Era da anni che non tornavo a Venezia, non mi aspettavo di trovarla cambiata e così è stato. Com’era facile prevedere a cambiare sono stato io. Col senno di poi dovevano essere avvertimenti quelli che i macchinisti dei treni che ci vedevano camminare ci lanciavano: percorrere quei tremilaottocentocinquanta metri o, se preferite, camminare su quei settantacinquemila pali è stato letteralmente come viaggiare indietro nel tempo fino a sei o sette anni fa, quando lo zaino era un altro, il passo anche e i pensieri pure.

Sarà per via di questa lenta immersione nel passato che ho sentito più forte il bisogno di fotografare e ne è nato un altro piccolo album principalmente di paesaggi, vedute e long exposures: mi sono costate un po’ di umidità nelle ossa (a me e a chi era con me), ma vanno ad aggiungersi ad un album già ricco che era rimasto fermo da qualche anno: Venezia.