fabio
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Sembrava essere nell’aria, ma nessuno pensava potesse essere oggi: il risveglio con l’Italia fuori dai mondiali le Cassandre, io fra loro, se lo aspettavano per Mercoledì. Le battute da bar sulla Macedonia - “ci fanno a pezzetti”, “siamo alla frutta” - erano state tutte fatte per esorcizzare uno scenario che la realtà dava per possibile perché: hey, siamo proprio sicuri di poter andar lontano con questi giocatori?

Nei gironi scorsi ho sentito molti amici condividere le mie stesse perplessità su questa rosa, e in particolare un reparto d’attacco, composto da giocatori che sporadicamente giocano competizioni di rilievo, non in forma e - campanello d’allarme peculiare ma forse veritiero - mai nei radar dei grandi club esteri. In poche parole: malconci (o peggio arrivati), non esperti o non particolarmente forti.

Per concentrarci sull’attacco: Insigne è stato mesi in attesa di un contatto da squadre europee per negoziare meglio col Napoli e, visti i risultati, andrà in Canada (!) a finire la carriera, Immobile è andato a Dortmund praticamente in Erasmus, Berardi è fin qui sempre rimasto al Sassuolo, che di per sé non sarebbe un problema se non per il fatto che non ha mai affrontato avversari diversi da quelli della serie A. L’altra farina con cui fare il pane ieri erano Raspadori - come Berardi ma con ancor meno esperienza in serie A - e l’oriundo dell’ultimo minuto Joao Pedro, in forza al Cagliari che fa galleggiare in quello spazio della parte destra della classifica che, in genere all’ultima giornata, definisce chi è l’ultimo dei salvi e chi il primo dei dannati.

Ma siccome la storia del calcio dà due insegnamenti opposti ovvero che nessuno vince mai da solo - l’europeo un po’ lo insegna - e che anche i migliori collettivi perdono - gli olandesi di Cruijff o Van Basten per dirne una - mi piace ricordare una massima che trova la soluzione proprio nel mezzo, ovvero averne uno buono ogni tanto:

Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono”.

Nereo Rocco

Un portiere che para tutto

È veramente difficile dire che Donnarumma sia un portiere incapace, quel che è certo è che non è un portiere che para tutto e, per la cronaca, questa figura mitologica non esisterà mai: è bene chiarirlo perché la stampa tratta questo giocatore - un portiere di ottima qualità al pari di diversi altri - come un semi-dio che a breve dimostrerà la sua supremazia rispetto a tutti gli altri. I fatti però descrivono una realtà diversa che passa da uno spogliatoio contro nel club, una responsabilità sostanziale nell’eliminazione dalla Champions e da alcune leggerezze a costellare il passato di club in Italia nelle partite più pesanti (Icardi nel derby, la finale di coppa Italia con la Juventus fra tutte). Non prende gol stupidi, ma nel cambio di campionato e nel passaggio di competizione (Champions League) finora ha raccolto più traumi che soddisfazioni. L’unica cosa positiva è che lui per il prossimo mondiale potrebbe crescere mentalmente: a quel punto non parerà tutto, ma almeno non prenderà gol da trenta metri e non si metterà a giocare coi piedi con Benzema addosso.

Un assassino in difesa

In difesa c’era una volta la leadership italiana, ma queste cose le trovate nei canali nostalgia sui social dover per altro è bene che restino. L’assassino in difesa in questa nazionale manca, i giocatori buoni sono invecchiati (Chiellini, Bonucci) e anche al loro apice non ci hanno mai fatto ricordare Facchetti, Baresi, Maldini, Nesta, Cabrini o Cannavaro. Spinazzola come exploit nella competizione ci ha fatto ricordare Fabio Grosso, ma con un finale per lui diverso. In tutto ciò non c’è stata neanche una pianificazione per una sostituzione nel tempo e ieri la nazionale è scesa in campo con un’inedita coppia Bastoni-Mancini giocatori non ancora cresciuti ma che forse un giorno…. Ecco, forse un giorno sarà comunque tra non meno di quattro anni…questo il prezzo che questi due ragazzi scuola Atalanta pagheranno per l’insistenza nel continuare a far giocare due juventini che inseguivano ormai solo record personali. C’è speranza? Difficile, finché i migliori prospetti giocano in squadre di metà classifica o peggio, serie B.

Un genio a centrocampo

Il centrocampo è il rammarico più grande, perché contrariamente al nostro passato, in questo momento l’Italia aveva tanta qualità: Verratti e Jorginho. Sembra strano pensarci, ma sei mesi fa si diceva che quest’ultimo fosse senza mezzi termini il più forte giocatore al mondo. Nelle ultime uscite in nazionale non è sembrato così, ma resta fra i più bravi, così come l’abruzzese a Parigi elogiato da tanti e paragonato addirittura a Iniesta. Forse anche questo è un problema, un genio a centrocampo è difficile da trovare, ma averne due rende ancor più difficile la situazione. Non vederli al mondiale sarà forse un dispiacere per i tifosi autentici delle altre nazionali.

Il mona che segna

Il mona che segna ieri non c’era e manca da qualche anno, ed è un peccato perché era quasi arrivato a Coverciano e a far purgatorio in Turchia l’ha mandato soprattutto un sistema calcistico, quello italiano, piuttosto distratto sul tema del razzismo e sui giovani. Balotelli è l’unico attaccante di spessore della sua generazione assieme ad Immobile. La differenza sostanziale fra i due è la crescita: mentre Balotelli faceva l’assist per Aguero che avrebbe dato il titolo al City all’ultimo minuto dell’ultima giornata dalla stagione 2011/2012, Immobile giocava in un fantastico Pescara di serie B sotto la guida di Zeman giocando assieme a Verratti e Insigne. Balotelli nella sua successiva crisi ha comunque giocato con i migliori, Immobile una volta trovata la sua area di comfort alla Lazio e aver ottenuto una scarpa d’oro, con una certa abbondanza di rigori, si è fermato vincolato anche ad una squadra che non sembra desiderosa di inseguire traguardi. A lui può andar bene così, ma per la nazionale è un problema. Anche qui all’orizzonte non si vede granché e quel che si vede sembra poter seguire la sua stessa parabola (Scamacca).

Conclusioni

La storia di Immobile e Balotelli - entrambi ragazzi classe 1990 - fa vedere alcuni difetti sistemici del nostro calcio. Immobile lo ricorderemo per la scarpa d’oro anche se probabilmente non vincerà mai un campionato nazionale, Balotelli per le faccende fuori dal campo e i contratti milionari dimenticandoci che a 22 anni, prima di apprestarsi a vincere il campionato col City, aveva già vinto tre trofei con l’Inter. Ma perché ha avuto queste possibilità? Un fattore è sicuramente la mentalità della league in cui giocavano: in Italia un 22enne di talento faceva gol a raffica in serie B - assieme come detto ad altre promesse - mentre in Inghilterra era in campo per lottare per il titolo. Questa è la differenza di fiducia verso i giovani - dei club - che fa maturare più o meno velocemente i giocatori e che poi determina il peso delle rose nazionali. In Italia la nazionale U21 è composta da giocatori che giocano in squadre che stanno fra la zona retrocessione della serie A e le serie minori, per avere un Tonali devono pregare in ginocchio: la Francia U21 schiera il centrale quasi titolare del Milan e un centrocampista del Real Madrid che ruota in Champions League, l’Inghilterra schiera gente come Curtis Jones. Altra questione il razzismo: Balotelli in Inghilterra c’è andato certamente per soldi ma anche perché in ogni stadio italiano veniva fischiato o insultato - così come fino alla settimana scorsa è capitato al portiere del Milan a Cagliari o a Koulibaly a San Siro - e perché lì aveva qualcuno che in lui credeva (sì, proprio Mancini). Finché in Italia mancheranno persone capaci di credere nei giovani sarà sempre più difficile esprimere un calcio competitivo, questo dipende dai vertici di una Federazione estremamente debole rispetto agli interessi dei club specie quelli piccoli e delle serie minori. Il giocattolo si è rotto e come al solito tocca ai giovani sistemarlo, ma per favore che gli si dia questa possibilità.

In questo post mi sono astenuto dal giudicare l’incompetenza giornalistica capace solo di incensare una maglia senza mai porre una critica, costruttiva. Purtroppo la scesazza è tale che non voglio neppure pensarci…è davvero un periodo di basso impero per tutti.