Come (non) funziona Bitcoin
fabio
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Il 24 febbraio 2017 il maggior quotidiano finanziario d’Italia – il Sole 24 Ore – ha pubblicato un articolo dal titolo Banche centrali, guerra ai Bitcoin. L’articolo, che vi invito a leggere qui, prende posizione contro la criptovaluta, ma lo fa inanellando una serie di errori, talvolta grossolani, che hanno fatto infuriare diversi sostenitori di Bitcoin. Personalmente non sono nè adirato nè indignato dall’articolo, come altri sostenitori della valuta, ma semplicemente deluso dal tipo di informazione che una così autorevole fonte ha fatto su un tema che merita una discreta conoscenza tecnica per essere affrontato.

Diversi amici mi contattano di tanto in tanto per sapere qualcosa in più sul mondo Bitcoin, sentendolo nominare alla TV (qualche volta nei notiziari, qualche volta nelle serie tv) o, per l’appunto, sui giornali: è soprattutto per loro che provo a chiarire i punti che l’articolo di Plateroti ha descritto in maniera approssimativa o, talvolta, errata. Andiamo con ordine.

[…] la crescita stratosferica, rapida e sostanzialmente incontrollata della «cripto-valuta» sintetica che si spende sul web […]

La crescita di Bitcoin è incontrollata perchè, contrariamente alle valute cui siamo abituati (che da qui in poi definiamo fiat) come Euro o Dollaro, non c’è una autorità centrale che la emette, ritira o regola e, quindi, che la controlla. Bitcoin è una criptovaluta che trae il suo valore (anche) dalla rete che la supporta e difende e che, con una progressione geometrica, vede l’emissione, ancora in corso, di 21 Milioni di Bitcoin dal primo giorno (3 Gennaio 2009). La crescita di Bitcoin quindi non può essere incontrollata.

Se l’articolo intende una generica crescita di valore, allora manca il soggetto in grado di controllarla. Se intende la crescita della quantità di Bitcoin in circolazione, allora sappiate che non c’è nulla di più regolare (ogni 4 anni circa si dimezza la velocità di emissione), ma comunque non manipolabile da nessuno.

[…] un asset finanziario senza storia […]

Per quanto si potrebbe discutere su Bitcoin come asset finanziario, trovo più problematica la qualifica di senza storia: nell’ambito delle criptovalute ha più storia di qualunque altra, mentre in quello degli asset finanziari – se proprio vogliamo far di tutta l’erba un fascio – ha più storia di qualunque azione emessa dal 2009 in poi, qualche esempio: facebook ha storia dal 2012, Alibaba dal 2014, Twitter dal 2013.

Quali prospettive di reddito e sviluppo sono mai nascoste nel futuro di una valuta elettronica senza volto e senza storia, di cui mezzo mondo conosce a malapena solo il nome? E non solo quello della moneta: il mondo che gira intorno ai Bitcoin è talmente opaco, che dopo nove anni di caccia all’uomo tra il Giappone, gli Stati Uniti, l’Europa e l’Australia, non è ancora chiaro chi abbia inventato i Bitcoin […]

Dopo alcuni numeri (elencati nella domanda precedente che non ho riportato) si pone al lettore una domanda che, semplificata, suonerebbe così: Vi fidereste mai di una valuta di cui non conosciamo il Governatore? La domanda vera, a mio avviso, dovrebbe essere: Avete mai notato che nella storia della moneta ci siamo fidati di persone di cui conosciamo solo il nome? E la mia risposta, in ambo i casi, sarebbe “sì“. A dubbio, poi, si aggiunge dubbio: prima si dichiara, senza motivazioni apparenti, che il mondo attorno ai Bitcoin è opaco, poi il fatto che questo abbia impedito di compiere la caccia all’uomo per capire chi sia l’inventore. Di nuovo: è una domanda utile per guidare il lettore nella comprensione del tema dell’articolo? È giusto parlare di caccia all’uomo – e non identificazione – se l’uomo non sai chi è, se è uno o più e, più in genereale, se esiste? Che reato avrebbe commesso l’Innominabile creando il Bitcoin? [A proposito: l’abbiamo più trovato l’Innominabile dopo secoli di caccia all’uomo? Vi sconsiglio la lettura di certi capitoli dei Promessi Sposi perchè non è chiaro di chi si parli.]

[…] Satoshi Nakamoto, il presunto ingegnere di Tokyo che nel 2008 ne rivendicò la paternità, si è scoperto ora che non esiste affatto, né in Giappone né sul web […]

Qui un errore. Nel 2008 Bitcoin non era neppure nata come valuta, in più la paternità non è mai stata rivendicata da nessuno (fino al 2016, Craig Steven Wright), al più è stata attribuita: l’articolo cita un contesto inesistente, che può ricordare forse il caso di Dorian Nakamoto, verificatosi comunque nel 2014. Se invece si parla in astratto di Satoshi – di cui però non si sa se sia un ingegnere o meno – questi non rivendica la paternita, ma la detiene, avendo appunto firmato il paper da cui nasce la criptova.

[…] un fondo fiduciario offshore in cui si dice da 10 anni che l’ideatore di Bitcoin abbia versato un milione di Bitcoin, che nel 2009 costava appena 40 centesimi. Se quel denaro elettronico fosse convertito oggi […]

Di nuovo le date non tornano: 2017-10-2007, Bitcoin non c’era. Cosa si intende per versare? Viene il sospetto che chi scrive non conosca il funzionamento di Bitcoin, per di più: non era solo virtuale? Nel 2009 Bitcoin non aveva valore, quindi non poteva valere 40 centesimi: ne ha acquisito solo con il cosiddetto Pizza Day il 22 maggio 2010. La prima volta che arrivò a 0.40 USD fu nel gennaio 2011.

Dopo aver speso 12.300 miliardi di dollari per proteggere dollaro, euro e yen dalla crisi bancaria globale e del debito europeo, dal caso Grexit e dallo shock di Brexit, dall’incognita Trump e dalla volatilità crescente dei cambi valutari globali, la «Santa Alleanza» delle potenze monetarie sembra ora prepararsi allo scontro con la «Jihad valutaria» del nuovo populismo finanziario: scudi e bazooka sono già puntati contro l’avanzata dei Bitcoin. […]

Sembra che tutte queste voci di spesa (Grexit, Brexit, Trump, etc.) siano dovute al Bitcoin che, misteriosamente, diventa la Jihad valutaria (per le fiat è stata opportunamente scelta la casacca della Santa Alleanza), ma la realtà è che si fa fatica a capire il senso di questo passaggio: non si spiega cosa ha da temere la Santa Alleanza da Bitcoin e, visto il titolo dell’articolo, è un punto non da poco.

[…] la sfida tra moneta reale e valuta digitale sembra avere un esito scontato: Bitcoin ha munizioni per circa 18 miliardi di dollari, a tanto ammonta la capitalizzazione mondiale della cripto-valuta […]

Munizioni? Probabilmente l’idea dell’autore è che Bitcoin, per vincere, dovrebbe comprarsi il dollaro pagando Trump…in dollari! Questo passaggio veramente non ha senso, l’unica cosa giusta è il valore di capitalizzazione (18.8 al momento in cui scrivo)

[…] Se il ritmo con cambia, qualcuno rischia davvero di farsi male: il solo fatto che le quotazioni di Bitcoin salgano oggi in parallelo con quelle dell’oro, non è certamente un buon segno per Fed e Bce […]

Questa appare più che altro una generalizzazione, anche se è vero che si sente parlare spesso di Bitcoin come oro digitale.

[…] oggi l’obiettivo prioritario è ottenere il via libera della Sec alla quotazione del primo Etf in Bitcoin a livello mondiale: in pratica, sarà il primo derivato valutario sintetico che avrà come asset sottostante una valuta che nella realtà neppure esiste. […]

Di nuovo: Bitcon esiste o non esiste?

[…] l’invenzione di Bitcoin sembra insomma fatta apposta non solo per spodestare il monopolio bancario negli strumenti di pagamento elettronici e nelle transazioni commerciali internazionali via web, ma anche il sistema valutario del dopo gold-standard: e con questi, l’intera rete di sicurezza creata dai governi e dalle istituzioni internazionali contro il riciclaggio di denaro, l’evasione fiscale e l’esportazione illecita di capitali […]

Detto che il monopolio degli strumenti di pagamento elettronici è tutto da dimostrare che sia bancario, la cosiddetta rete di sicurezza contro riciclaggio, evasione fiscale ed esportazione di capitali non funziona a prescindere da Bitcoin: cosa c’entra quindi Bitcoin?

L’idea alla base dei Bitcoin è stata infatti creare una valuta digitale che fosse indipendente da ogni tipo di autorità o governo nazionale e che permettesse di effettuare pagamenti elettronici a livello globale senza controlli, in maniera istantanea e soprattutto anonima. […]

L’idea alla base dei Bitcoin non è un sistema di pagamento istantaneo e neppure anonimo: Bitcoin richiede, in media, dieci minuti per avere conferma di un trasferimento di valore e molto di più per avere la certezza del buon fine, per di più è più corretto parlare di sistema pseudonimo. Ma la definizione migliore dell’idea alla base è contenuta nell’Abstract del paper di Satoshi Nakamoto.

[…] Anonimato e non tracciabilità sono due caratteristiche che trasformano un mercato in un far west […]

Le operazioni in Bitcoin sono pubbliche oltre che – evidentemente – tracciate: sono registrati indirizzi del mittente, del destinatario, e importo. Se volete vedere qualche transazione potete usare questo Blockchain explorer.

Un po’ a sorpresa, la prima istituzione monetaria a capire i rischi nascosti di questa unione tra tecnologia e furbizia, è stata la Bce […]

Perchè a sorpresa?

[…] Bitcoin ha già oggi 500mila conti individuali attivi da cui si originano 100mila transazioni al giorno, con un totale accumulato di 198 milioni di operazioni effettuate […]

Mancano le fonti dei dati, secondo Blockchain.info (un altro Blockchain Explorer) le transazioni al giorno sono quasi tre volte il numero indicato, mentre è incalcolabile il numero preciso di conti individuali (può essere creato localmente da chiunque) che comunque, solo sul sito indicato, supera i 12 milioni. Il numero di transazioni totale è quasi 200 milioni come indicato (qui la conferma).

[…] La task force italiana – spiega ancora la Bce – ha diffuso una circolare in cui mette in guardia le banche sull’uso anomalo delle monete virtuali: gli intermediari devono segnalare immediatamente le operazioni sospette in Bitcoin […]

Viene il sospetto leggendo questo passaggio che i clienti delle banche possano operare in bitcoin, poichè alle banche è richiesto di segnalare le operazioni sospette in questa criptovaluta: in realtà le banche, su invito della Banca d’Italia, devono tenersi alla larga dalla criptovaluta. Quindi, anche in questo punto, viene creata una certa confusione che aumenta l’incomprensione del fenomeno.

Il primo passo è acquistare e scaricare sul computer la «App» di Bitcoin e poi aprire un conto nominativo individuale su una delle piattaforme digitali di scambio […]

Nominativo? Ma non vevamo detto che era anonimo?

Il secondo passo, è trasferire il denaro reale dal proprio conto bancario a quello aperto in Bitcoin, operazione non monitorata in quanto originata su piattaforme nazionali […]

Operazione monitorabilissima (e spero monitorata) dalle banche. Quello che è meno monitorabile è l’acquisto tramite Exchange decentralizzati, quali bitsquare.

Non potendo più essere tracciato (non c’è più intermediario bancario vigilato a registrare le transazioni), il titolare del conto trasferisce indisturbato il patrimonio in Bitcoin su un altro conto personale (aperto negli Usa o in Europa) intestato a parenti o soggetti terzi compiacenti o addirittura complici: a operazione avvenuta, i Bitcoin cambiano paese di residenza e giurisdizione, lasciando al proprietario la possibilità di scegliere il momento giusto per spenderli o cambiarli in altra valuta. […]

Non occorre trasferire il patrimonio in Bitcoin su un altro conto: contrariamente ad un conto in banca, il wallet Bitcoin non può essere confiscato e non si trova fisicamente da nessuna parte se non sul proprio PC (o smartphone o altro device) e non servono intestazioni bizzarre, perchè non è proprio necessario intestartsi niente: tutto è retto da prove crittografiche che garantiscono l’identità e il diritto di proprietà meglio della fiducia che poniamo in terzi per certificarci le due cose. I Bitcoin ovviamente non cambiano residenza o giurisdizione poichè non ne hanno, mentre hanno una storia poichè i trasferimenti sono tutti tracciati e pubblici.

Sorry for the long post 🙂