fabio
fabio
3 min read

Categories

  • writings

Da quant’è che non vai allo stadio così? Cosa intendi con così?
Così, intendo…con la tua bella bicicletta, quindici minuti di pedalate accanto ai binari del tuo tram totem, il 16, poi piazzale Segesta e infine la figurazione dell’unico santo stadio: San Siro. È così, tante città hanno stadi titolati a dei santi, il San Paolo prima di diventare Maradona, il Sant’Elia prima di essere sostituito dalla Sardinia Arena, ma nessuno è solo San. Neanche il San Nicola di Bari o il San Filippo di Messina. Tutti tranne uno, San Siro che si chiamerebbe Giuseppe Meazza, ma per noi plebs del mondo le partite sono a San Siro (perché là sta, lo sappiamo) e la partita di oggi è la prima di campionato, stagione 22-23, AC Milan campione d’Italia in carica.

È diverso stavolta. Ho frequentato lo stadio in maniera intermittente negli ultimi anni, non solo a causa della pandemia. Sarà il profumo d’estate, sarà l’hype - sacrosanto - dello scudetto o sarà l’idea di vedere se davvero funziona quest’abbonamento fatto un po’ all’improvviso con due amici…sarà, ma la sensazione è che è tutto incredibilmente speciale.

Il rito dell’arrivo, dell’ingresso, delle scale (la rampa solo a uscire), dell’affacciarsi e vedere quant’è verde e quant’è bello quel prato punteggiato dai giocatori della nostra squadra (e dell’altra). Realizzare quanti tifosi sono lì per vedere l’AC Milan giocare (più di 70 mila si dirà dopo), quanta voglia c’è di cantare e sostenere la propria squadra e gridare quel Pioli is on fire. Per un momento mi sembrano belli pure i tifosi della squadra avversaria che omaggiano altri colori ma, molto in fondo, sono lì per la stessa cosa.

Sono in un altro mondo, osservo tutto (non fotografo niente, voi che lo fate costantemente godetevi qualcosa per Dio!), penso, conto cose, osservo la curva, gli altri settori: sono in estasi. Mi sveglia, solo in parte, il sole che picchia - siamo ad agosto e batte ancora per bene alle 17/18. Introduce definitivamente al rito collettivo della partita di pallone, rompendo quell’estasi preparatoria, l’attacco delle prime note di sarà perché ti amo che canto come se l’avessi scritta io. È il vero biglietto d’ingresso alla partita, da qui in poi è match mode: si canta quando si deve cantare, si sostiene quando si deve sostenere (ce ne sarà subito bisogno), si salta quando si deve saltare. Non fischio perché ho questo limite per cui non sono capace, però ok, su quello ci sono con la mente.

L’aria è ovviamente calda ed elettrica, suggerisce che accadrà qualcosa subito, ma non pensavo sarebbe stata l’amarezza collettiva per un gol subito dopo un minuto (ce ne sarà un altro a fine primo tempo). Si ribalta tutto in pochi minuti: l’immediato sostegno alla squadra porta all’esaltazione per i gol fatti, inclusa la suspense per l’intervento del VAR. Poi l’intervallo e un secondo tempo finalmente all’ombra e tranquillo per gioco e punteggio (finisce 4 a 2, ovviamente). In tutto ciò si sentono anche le opinioni altrui più o meno gridate sui calciatori meno graditi: qui ho potuto verificare che fra Gesù e Barabba, per qualche motivo, la folla sceglierà sempre Barabba. Siamo sull’1 a 1 e Diaz riceve palla diversi metri fuori area. Neanche il tempo di pensare che, un po’ dietro di me, sento dire che Diaz è scarso, motivo: dà palla a Calabria sull’esterno anziché Messias più accentrato. La sua scelta consentirà a Calabria di metter palla in area e favorire il secondo gol, il primo di Rebic. Tralasciamo poi che Diaz segnerà il terzo e, con Messias, determinerà il quarto (assist). La gente griderà sempre Barabba per poi dimenticarsi di averlo fatto. Nel bene e nel male sono tutte cose che vivi solo se hai altre persone attorno a te, conosciute e sconosciute, con opinioni simili o diverse, non cambia. L’emozione di condividere le stesse emozioni con così tante persone, nello stesso posto e per la stessa ragione è obiettivamente un’esperienza a sé. Da ripetere molte altre volte.